Foto Isola di San Pietro
Carloforte Sardegna foto 2021
Le foto dell’Isola di San Pietro che qui pubblico sono state realizzate per un nuovo progetto fotografico sul paesaggio costiero sardo. Il mio libro sulle coste della Sardegna è da qualche mese esaurito. Ho iniziato a lavorare ad una nuova edizione con più foto e più pagine rispetto alla prima.
Album foto Isola di San Pietro
Altre foto dell’Isola di San Pietro del mio archivio sono in questo sito a questa pagina: catalogo Foto Mara Sardegna.
carloforte sardegna foto | foto carloforte | carloforte foto | isola di carloforte foto
Guarda tutte le immagini del catalogo Foto Mare Sardegna.
Gin Racheli
Ho pensato di iniziare dalle foto di Carloforte e dalla Sardegna del sud perché casualmente ho scoperto il libro di Gin Racheli sulle Isole del Sulcis. Un libro esaurito ma che è possibile trovare ancora alla libreria “Il Mare” di Roma.
Fanghi rossi e Folco Quilici
A causa della zona industriale di Portoscuso mi sono sempre tenuto lontano da questi lidi. Una brutta fama di un mare molto inquinato dai “fanghi rossi” risale agli anni ‘70 quando decisero di produrre alluminio da queste parti. In un libro di Folco Quilici ho trovato narrata l’esperienza terrificante di come riversavano in mare questi residui molto inquinanti.
«Ero appena a quindici metri «sotto» quando ho visto calare sopra di me la massa fangosa mollata a mare dalla bettolina incaricata, come ogni giorno, di disfarsi di quanto è avanzato dal processo di produzione. In un primo momento lo scarico m’apparve compatto come frana di rocce: aperta di colpo la stiva, il «fango rosso» della bettolina era caduto tutto assieme. Poi l’effetto è cambiato, proprio mentre tentavo di togliermi dalla verticale di quella massa. Pinneggiai in un guizzo disperato, ma inutile, perché pochi metri sopra la mia testa, il compatto scarico di fango s’era dilatato formando un largo «ombrello» color sanguigno (in miniatura, sembrava l’esplosione del famoso «fungo atomico»; rovesciato, però). La materia da solida s’era fatta nube e calava verso il fondo avvolgendomi.»
Folco Quilici – Coste e Mari d’Italia – Mondadori 1987
Sono passati quarant’anni e il mare sembra aver rigenerato tutto. Oggi i “fanghi rossi” non sono più buttati in mare. L’area industriale grazie a tante pale eoliche ha un aspetto migliore, anche se è un ferita che difficilmente si rimarginerà nel paesaggio. Mi dispiace iniziare questo articolo sull’Isola di San Pietro in maniera così negativa, ma quel breve tratto di mare che la divide dalla Sardegna poteva avere un futuro migliore. Le questioni industriali ed i loro agenti inquinanti sono il lato oscuro di questo territorio sardo. Sono anche di grande attualità, di scelte politiche difficili se si cercherà una riconversione verso produzioni più sostenibili.
Alluminio
Per produrre l’alluminio si usa tanta energia, e qui grazie ai giacimenti di carbone del Sulcis fu fatta questa scelta industriale qualche decennio fa. Si costruì una grande centrale termoelettrica a carbone. Il carbone è il combustibile fossile più inquinante di tutti, quindi ai fanghi rossi si somma l’emissione nell’aria di enormi quantità di polveri sottili. Il minerale da cui si estrae l’alluminio (Bauxite) arriva da molto lontano via mare: l’Australia. Altro aspetto che rende questa produzione industriale una scelta per niente sostenibile. Per chi ne vuole sapere di più consiglio di leggere questo articolo sul sito di Italia Nostra.
Le Colonne di Carloforte
Torniamo alle foto di Carloforte ai suoi paesaggi costieri grandiosi. La prima foto di Carloforte che dovevo assolutamente realizzare era quella di un paesaggio costiero che una tempesta aveva completamente stravolto e che avevo scattato qualche anno prima: Le Colonne di Carloforte. Un paesaggio marino forgiato dalle tempeste. Una delle due colonne non esiste più, una tempesta nel 2013 l’ha annientata. I grandi blocchi di basalto sono ancora lì sotto, sul fondo del mare o sulla scogliera.
2009
2021
Foto Fine Art
Le Colonne di Carloforte. 2021
Le Colonne di Carloforte l’ho stampata in tiratura limitata 1 di 12 per la mia serie : I Ciclopi del Paesaggio Costero Italiano. Formato 100 x 100 cm (immagine 90 x 90 cm). Una fotografia realizzata a posa lunga con pellicola a lastre 4×5 pollici. La grande foto è in vendita sul sito di Photoatlante.
Grandiose scenografie
Le foto di Carloforte che ho realizzato recentemente sono paesaggi costieri della parte più selvaggia dell’Isola di San Pietro. Grandiose scenografie scattate sulla sua costa rocciosa in faccia al Maestrale. il potente vento di nord est del Mare di Sardegna che qui alza onde gigantesche. L’origine vulcanica dell’Isola di San Pietro la rende estremamente interessante geologicamente parlando. Una natura litica, minerale quasi unica nel Mediterraneo. Un’identità paesaggistica che la collega al Sulcis per lo sfruttamento minerario del sottosuolo. Sull’isola ci sono diverse miniere abbandonate. Carloforte è una delle poche isole minori della Sardegna, che ha una comunità residente. L’altra è al nord della Sardegna ed è l’Isola di La Maddalena. Leggi e guarda le mie foto dell’articolo “Foto La Maddalena”.
Isola dei Falchi
L’isola ha avuto nei secoli vari nomi: per i Fenici era l’isola dei Falchi (Enosim). Per i Romani l’Isola degli Sparvieri (Accipitrum Insula). L’isola è ancora oggi un importante sito di nidificazione del Falco della Regina (Falco eleonorae). In epoca Cristiana prende il nome attuale: Isola di San Pietro. Oggi tutti la chiamano con il nome del paese: Carloforte. Nel 1700 da Isola disabitata venne colonizzata e nacque il paese e il porto di Carloforte. Una colonizzazione umana con una storia molto particolare che ho potuto approfondire grazie al libro di Gin Racheli di cui sopra. Una storia di un piccolo popolo del Mediterraneo che desta meraviglia, per come la sua identità la si percepisce immediatamente come si sbarca in porto e si entra in contatto con la gente di Carloforte. Nel lontano passato l’isola non è mai interessata a nessuno. I Fenici preferirono la vicina Isola di Sant’Antioco, quasi unita alla costa, con un porto naturale ideale per fondarvi poi una città.
Isola disabitata
L’Isola di San Pietro invece era totalmente disabitata quando vi giunsero nel 1700 una comunità di 140 famiglie. Venivano dalla costa nord della Tunisia, che dalle isole del Sulcis non è poi così distante. Un tratto di mare che univa e divideva: per fedi religiose, opportunità commerciali e risorse marine di un Mediterraneo che in quei secoli era in continuo conflitto.
Oro rosso
Questo popolo non era arabo o berbero e neppure musulmano. Era un piccolo popolo di italiani della Liguria che sulla costa africana andò a pescare il Corallo. Vivevano in Tunisia dalla metà del 1500 ed erano li perché il grande imperatore Carlo V, aveva trovato un accordo con il Bey di Tunisi di allora (1542), per avere rendite commerciali grazie all’oro rosso: Il corallo rosso (Corallium rubrum). Una famiglia di mercanti Liguri di Pegli, i Lomellini, furono gli artefici di questo accordo e trasferirono su una piccola isola molto vicino alla costa della Tunisia diverse famiglie di pescatori di corallo di Pegli.
Tabarka
Il luogo della Tunisia dove si insediarono i corallari liguri è l’Isola di Tabarka. Più che un’isola era quasi uno scoglio. Lunga 600 metri e larga 400, oggi non esiste più perché unita alla terraferma per formare i due porti della cittadina di Tabarka. Un mare che ancora oggi è molto ricco di corallo rosso.
Difficile convivenza
Dagli anni 40 del 1500 ai 30 del 1700, per quasi due secoli questo piccolo popolo ligure ha pescato il corallo ed è riuscito, tra alti e bassi, a vivere grazie alla pescosità di quel mare. Una convivenza difficile, con i tunisini: tollerati, sfruttati, ma necessari per le immense ricchezze che il commercio del corallo procurava. Dai Saraceni dipendevano per tutto: carne, cereali, olio e qualsiasi altro genere alimentare che non fosse il pesce, proveniva dalla costa tunisina.
Razzie e riscatti
Questo piccolo popolo ligure era molto capace a dialogare con i tunisini, un rapporto che divenne molto importante quando la pirateria saracena si fece sempre più terribile ai danni soprattutto delle isole e delle coste italiane. Razzie che fruttavano molto, soprattutto con la deportazione di interi paesi. Povera gente che andava a rifornire il mercato degli schiavi. Solo i più ricchi riavevano la libertà grazie ai riscatti delle loro famiglie. I “Tabarchini” (gli avi de Carlofortini) ebbero un ruolo importante nelle trattative per ridare la libertà a tanti deportati.
«Il corallo era abbondante e i Lomellini, nel primo secolo di insediamento, poterono ammassare enormi ricchezze. Frattanto intorno all’Isola e sui mercati costieri ove si recavano per acquisti, i nostri Liguri vedevano passare gli schiavi catturati dai Saraceni e dai Turchi nelle scorrerie, e si muovevano tra loro liberi, in virtú dell’immunità pattuita con i Bey nel trattato di concessione di Tabarca. Raccoglievano nomi, implorazioni, richieste di riscatto, che trasmettevano a Genova, utilizzando le navi del corallo per un nuovo commercio di libertà di cui non si sa in quale misura si avvantaggiassero.»
Gin Racheli, Le Isole del Sulcis, Mursia ©1989
La crisi
Convivere con i Saraceni non era facile, la loro vita era sempre in balia dei loro eventi predatori. La marineria piratesca del Mediterraneo tra il 500 e il 600 era una delle prime attività dell’economia del Nord Africa. Una convivenza che entrò in crisi… Gin Racheli lo spiega molto bene nel suo libro.
«Dopo il primo secolo, la popolazione tabarchina era raddoppiata ed era chiaro che 2.000 anime sullo scoglio non ci stavano piú; il padrone Lomellini diede un pesante giro di vite alle concessioni di matrimonio (già da prima non ci si poteva sposare senza il suo consenso) e fu negato a chiunque dall’esterno il permesso di soggiorno nell’Isola. Su finire del XVII secolo, i due Bey di Tunisi e di Algeri si fecero sempre piú esosi, chiedendo a Lomellini ingenti somme per l’immunità dei suoi. A ciò si aggiunse il progressivo impoverimento dei banchi di corallo.»
Gin Racheli, Le Isole del Sulcis, Mursia ©1989
Primi del settecento
Nei primi decenni del Settecento, sulla loro piccola isola era diventato quasi impossibile vivere. Continua Gin Racheli
« […] cresceva anche il senso di disagio per la connivenza con la civiltà musulmana diversa dalla loro e piú arretrata di quella che avevano lasciato cento anni prima: agi anche, come sinistro avvertimento sulla comunità tabarchina, il fatto che qualcuno, non resistendo piú a condizioni di limite ormai prive di scopo, se ne andò a vivere sulla costa, tra i Barbareschi e finí per abiurare la fede dei padri facendosi musulmano.»
Gin Racheli, Le Isole del Sulcis, Mursia ©1989
Re di Sardegna
Per i “Tabarchini” era giunto il momento di cambiare isola, trovare altri lidi dove andare a vivere.
«Un giorno, la nave che collegava Tabarca con Genova portò, insieme con le mercanzie, una notizia: il re di Sardegna cercava coloni per alcune terre del regno e tra queste v’erano due Isole quasi deserte, S. Antioco e S. Pietro, molto piú grandi della loro.»
Gin Racheli, Le Isole del Sulcis, Mursia ©1989
Cagliari
Una delegazione prese il mare e fece rotta su Cagliari. Era il 1736 e tutta la comunità finalmente aveva la speranza di un futuro migliore. L’offerta si concretizza nel numero di 140 coloni che potevo insediarsi sull’Isola di San Pietro. Tornati a Tabarka i 140 coloni divennero 140 famiglie. Nel libro di Gin Racheli l’epopea dei “Tabarchini” non si ferma qui. Sono diverse le pagine che raccontano la colonizzazione dell’Isola, della loro incredibile capacità di creare da zero un paese fortificato, le saline, la tonnara e di rendere coltivabile molti ettari dal nulla.
Identità tabarchina
Leggere la storia dei “Tabarchini” e vagare per l’isola alla ricerca di paesaggi da fotografare è stato un bel viaggio in una dimensione mediterranea molto affascinante: quella di una piccola comunità sopravvissuta ad imperi e globalizzazioni varie. I miei paesaggi costieri, sardi, italiani, mediterranei, con molta difficoltà cercano di evocare un’armonia perduta tra civiltà materiale e natura, tra mito e storia. Qui a Carloforte è rimasto qualcosa di più, che una fotografia non è in grado di riprodurre: la lingua, la loro parlata, l’accento della loro gente. Dopo tutte le loro traversie, la loro incredibile odissea si tengono ben raccolte le loro pagine di storia e un’identità tra tramandare alle future generazioni.
[LUCA TAMAGNINI] © 2021