Foto La Maddalena
L’Arcipelago di La Maddalena è un Parco Nazionale. Per poterlo viverlo pienamente bisogna navigarlo, l’ideale è farlo con un gozzo o un gommone. Le distanze tra le isole sono accessibili anche per piccole barche. La Maddalena è l’unica tra le isole dell’arcipelago che ha capacità ricettive. Ma anche a Palau, sulla terraferma, è un’ottima base per esplorare l’arcipelago per mare. Foto La Maddalena è una “voce” importante del mio catalogo Foto Mare Sardegna.
Cala Francese a La Maddalena
Consiglio la visita in primavera o quando è appena iniziata l’estate. Ad agosto è troppo frequentata. Quando esplode la primavera tutte le isole dell’Arcipelago di La Maddalena sono nel loro massimo splendore. Ogni rada, spiaggia ed insenatura sarà accessibile e poco frequentata, se non quasi deserta. Esiste un residence a Cala Francese molto comodo e ben tenuto. Cala Francese è una cava di granito non più in uso, con un molo che una volta serviva per caricare il granito. Un molo molto comodo dove potevo tenere il mio gommone. Da Cala Francese avevo Spargi, Budelli, Santa Maria e Razzoli a pochi minuti di gommone. Una comoda sistemazione che mi ha risolto tanti problemi logistici per realizzare le fotografie del libro fotografico «Arcipelago di La Maddalena». Il libro include fotografie panoramiche da terra e dall’elicottero e illustra non solo le insenature e i canali fra le isole, ma anche il colorato mondo sottomarino. Puoi acquistare il libro direttamente sul sito dell’editore www.photoatlante.it.
Il Passo della Moneta e la fuga di Garibaldi da Caprera
Il Passo della Moneta divide Caprera da La Maddalena. Garibaldi, una notte, nel buio più assoluto, poco prima del sorgere della luna, riesce a sfuggire al blocco navale che lo teneva in esilio sulla sua isola. Attraversa il Passo della Moneta su una minuscola barca a remi. Sdraiato sul fondo, aiutato dal vento, riesce a raggiungere la riva di La Maddalena prima che la luna piena lo renda visibile alle sentinelle delle barche piemontesi. Indebolito dagli anni e dai malanni, la sua agilità è poca, tra scogli e cespugli solo a fatica riesce a nascondere la piccola imbarcazione sulla riva dell’isola. Raggiunge la casa dell’amica inglese Collins. Il giorno dopo con la barba tinta, travestito da pescatore, raggiunge la Sardegna, dove l’aspetta una barca da pesca proveniente da Livorno. Dopo tre giorni è già a Firenze e a Benedetto Cairoli dirà: «di tante imprese rischiate che ho tentato in vita mia, la più ardua e la più bella e di cui sentirò un certo vanto finché campi, è codesta mia fuga da Caprera».
Una notte senza luna
Credo si riferisse proprio a quei momenti, quando nel buio più assoluto ha attraversato quel breve tratto di mare che divide le due isole maggiori dell’Arcipelago. Mi è capitato di trovarmi, in una notte senza luna, nello Stretto della Moneta. Per cercare di cogliere gli ultimi bagliori di luce, mi sono attardato troppo a Razzoli, nella bellissima Cala Lunga. Un mare di tramontana non mi ha permesso di rientrare a Porto Massimo attraverso il percorso più breve e ho allora deciso di compiere il giro più lungo con mare di poppa e passare da Cala Gavetta, il porto di La Maddalena.
Navigare nel buio
Superato il ponte che unisce oggi le due isole, la notte mi assale e il gommone si immerge nel buio perché la lampada di bordo dopo pochi minuti si è spenta non ha più funzionato. Senza strumenti di navigazione notturna, in un tratto di mare così insidioso, credo di aver rivissuto gli stessi angosciosi momenti di Garibaldi, affrontando il buio e le secche a tentoni, in una navigazione lenta e cieca, scrutando il buio nella speranza di ritrovare i riferimenti a terra che indicano la giusta direzione, ed evitare le rocce affioranti, anche di giorno un pericolo costante.
Garibaldi sconfitto a Mentana
Attraversare il Passo della Moneta di notte può essere un ricordo di paura ed angoscia, ma per Garibaldi fu una grande avventura, la fuga che lo porterà in continente tra i suoi volontari per fare di Roma la capitale d’Italia. Purtroppo a Mentana i Francesi e un esercito pontificio cancelleranno il suo sogno. Gli impediranno di conquistarla. Verrà nuovamente imprigionato e nel timore di una sommossa popolare verrà riportato a Caprera e messo nuovamente in esilio.
Il Compendio garibaldino a Caprera
Il Compendio Garibaldino è il luogo che merita una visita. Da italiani è un omaggio che bisogna fare se si mette piede nell’Arcipelago. Sono i luoghi di Caprera dove Giuseppe Garibaldi visse gli ultimi anni della sua vita, dove morì e dove volle essere sepolto. Qui si trova la sua tomba, la sua casa e tanti altri ambienti della sua tenuta agricola. Un museo molto particolare, di proprietà dello dello Stato italiano. Il parco storico comprende l’azienda agricola che Garibaldi avviò a Caprera, dove egli stesso si occupava delle cure dell’orto e del frutteto. Il maestoso pino che si trova al centro del giardino fu piantato proprio da lui. La semplicità della casa si integra perfettamente con il paesaggio e l’atmosfera del luogo, e visitarla ci fa sentire un po’ più vicini a una storia ormai così lontana. Per comprendere meglio questo personaggio, bisognerà però visitare anche il Memoriale di Forte Arbuticci, che si erge a 4 km dalla casa in una delle zone più panoramiche di Caprera.
Riporto qui sotto un testo di Folco Quilici che scrisse per il libro «Arcipelago di La Maddalena» che realizzammo insieme nel 2010.
Gli amici inglesi di Garibaldi
«La guida che ci accompagna tra le stanze della casa-museo di Garibaldi a Caprera, ripeteva quasi a memoria una cantilena di nomi, date, abitudini quotidiane, lavori contadini. Tra incontri politici con personaggi del Risorgimento italiano e affettuose cure alla cavalla favorita, Garibaldi ha vissuto questi luoghi da prigioniero, da eroe, e contadino … I rapporti di vicinato con questa piccola comunità sono testimoniati da molte lettere, documenti notarili di compravendita di terreni ….. intorno all’eroe dei due mondi ruotavano diversi personaggi che facevano parte della comunità dell’Arcipelago. Tra le figure di questa ristretta cerchia di amici e parenti, la nostra guida ha spesso nominato la signora Collins, dedicandole anche una breve resoconto su chi fosse questa vicina di casa molto cara a Garibaldi. – “Ricca ereditiera, di buona famiglia londinese, che per amore di uno stalliere si era dovuta confinare su un’isola disabitata del Mediterraneo… ”- Tornato a La Maddalena sono entrato in libreria alla ricerca di un libro da poco editato che un amico di barca mi aveva consigliato di leggere. Su questo libro scopro chi fossero veramente i Collins, ma soprattutto scopro altri personaggi tutti inglesi che nell’ottocento vissero l’Arcipelago e lo vissero in modo molto avventuroso. Grazie ad un diario di bordo di un amico dello “stalliere” Collins, leggo che la coppia di inglesi amici di Garibaldi non erano lì per nascondersi, ma per una scelta di vita del tutto particolare. Il Collins non era affatto uno stalliere, ma un facoltoso uomo d’affari londinese che aveva mollato la città per il mare e aveva scelto il Mediterraneo, le coste della Grecia e dell’Italia dove vivere il resto della sua vita.»
[FOLCO QUILICI] – Dal libro «Arcipelago di La Maddalena» Edizioni Photoatlante 2010.
L’amicizia di Garibaldi e dei Collins
«Uno stile di vita che potrei definire “safari marino”, con un barca di medie dimensione scoprirono le insenature della Gallura e dell’Arcipelago, allora molto selvagge, per vivere di caccia e di pesca. Quando sentivano la necessità di un po’ di comodità bastava mettere la prua verso la Toscana e la Liguria per essere ospitati nei castelli e in ville di connazionali amici. Sempre su questo diario veniamo a sapere che non erano solo loro a frequentare e vivere la Gallura e la Corsica in questo modo. Molte altre barche di connazionali amici, amavano vivere il mare così. Naufragarono più volte i Collins, poi decisero di mettere su casa a Moneta sull’Isola di La Maddalena. Quando Garibaldi giunse a Caprera i Collins erano residenti già da diversi anni e inevitabilmente dato lo stile di vita comune, di amore per il mare, di libertà e avventura strinsero un amicizia che durò per sempre.»
[FOLCO QUILICI] – Dal libro «Arcipelago di La Maddalena» Edizioni Photoatlante 2010.
Caprera isola selvaggia
Il Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena deve molto a Garibaldi. Caprera è il suo inconsapevole lascito al Parco, non tanto per quella casa-fattoria visitata ogni anno da migliaia di turisti, quanto per averci consegnato un’isola quasi del tutto disabitata, dalla natura brulla, aspra, granitica; dove in quantità, uccelli rari trovano rifugio. Il succiacapre, per esempio, strano, mimetico; all’imbrunire ne ho contati vari stormi di più di venti esemplari. Volano come le farfalle, uno spettacolo vederli alzarsi in volo.
I bunker di Candeo
Un bunker della guerra a Candeo, sulla costa nord di Caprera, sembra una casina delle fate; il mimetismo antiaereo lo fa sembrare un luogo irreale. Il mosaico di blocchi granitici, messi insieme irregolarmente, ha trasformato un luogo di guerra in un’ambientazione favolesca. L’affaccio dalla terrazza dei cannoni offre una visione grandiosa del mare aperto. Cunicoli scavati nel granito incutono paura, depositi di bombe, montacarichi arrugginiti, un lezzo selvatico svela il riparo di qualche montone. Intorno solitudine e natura primordiale.
Monte Telaione
Lo spettacolo della natura di Caprera continua per tutto il suo tratto di costa esposta al mare aperto. Al largo, l’Isolotto dei Monaci è il guardiano di tanta solitudine, fin quando arriva l’estate e il mare si popola di barche. Cala Coticcio diventa allora una delle mete più frequentate dell’Arcipelago. Dal mare si possono raggiungere con facilità due meravigliose piccole spiagge, mentre gli appassionati di trekking, percorrendo un panoramico sentiero dall’alto del Monte Telaione, scendono al mare.
Cala Coticcio a Caprera
Cala Coticcio è detta anche Tahiti. Su Google Maps le due piccole insenature con le loro spiaggette hanno due nomi precisi che le identificano: Cala Tahiti e Spiaggia di Cala Coticcio. In realtà è tutta la baia che le contiene che ha il nome “Coticcio”. Sull’origine del nome “Tahiti” vorrei qui nuovamente citare Folco Quilici che racconta come la Polinesia ha a che fare con questo piccolo paradiso sardo.
La “Tahiti” sarda di Folco Quilici
«Alla fine degli anni Sessanta, lavoravo alla serie Mediterraneo e cercavo, nelle Bocche di Bonifacio, immagini del nostro mare in tempesta. Non fu difficile trovarle appena cominciò a soffiare il maestrale. Lo sfidammo fin che ci fu possibile, poi cercammo un riparo sottovento e dopo aver bordeggiato Caprera lungo la sua costa orientale, tra montagne d’acqua, trovammo finalmente un ridosso aggirando lo sperone roccioso a sud. Di colpo tutto cambiò intorno a noi. Il mio piccolo gozzo cabinato galleggiava immobile in una baia, né piccola, né grande, splendida per la cornice di graniti d’un rosa a tratti chiaro, a tratti cupo. E per acque degradanti dall’azzurro opalino sotto riva sino all’azzurro, al blu, al cobalto, verso il largo. Erano i colori delle baie polinesiane, nelle isole dalle alte falaises di roccia; io avevo da poco concluso le riprese del film “Ultimo Paradiso” e quei colori erano ancora nei miei occhi. Mi rivolsi agli amici a bordo del gozzo ed esclamai: “È come a Tahiti!”. Una battuta pronunciata casualmente. Non potevo immaginare che era destinata a sopravvivere a quel momento».
[FOLCO QUILICI] – Dal libro «Arcipelago di La Maddalena» Edizioni Photoatlante 2010.
Navigare tra le isole
Andar per mare tra le isole e gli isolotti dell’Arcipelago è impegnativo. Le acque di questi luoghi hanno sfumature e trasparenze che incantano, ma non lasciano scampo a chi non è pronto ai repentini cambi di condizioni atmosferiche. Ho conosciuto a Santa Maria l’unico residente dell’isola. Con molto amore stava sistemando il suo vecchio gozzo tirato in secca in una piccola spiaggia ben ridossata. Del suo gozzo si fida ciecamente, per vivere sull’isola non ne può fare a meno, per questo le attenzioni che gli dedica sono meticolose e gli portano via tanto tempo.
Racconti di mare
Mi ha raccontato che qualche mese prima aveva soccorso degli amici in difficoltà. Erano venuti a trovarlo da La Maddalena una domenica mattina con mare calmo e sole splendente. Il pomeriggio il mare si è alzato improvvisamente, il rientro poteva trasformarsi in tragedia. «…Sono riusciti con il motore in panne a sbarcare nei bassi fondali delle Isole di Barrettini bagnandosi solo le gambe, ed io sono andato a recuperarli prima dell’arrivo della motovedetta della Guardia Costiera». I suoi amici si sono salvati perché conoscevano ogni angolo di queste coste. Santa Maria, Razzoli, Budelli, Spargi, sono le isole del Parco spazzate dai forti venti delle Bocche di Bonifacio.
La Corsica è vicina
La Corsica è vicina e da queste isole è difficile definire i confini tra i due stati. Lavezzi e Cavallo sono a pochi minuti di gommone, ma se il mare si alza e il vento comincia con irruenza a soffiare, finiscono subito con sembrare lontanissime. Divise da un confine creato dalle onde che come montagne incutono terrore e grande rispetto. Ho navigato per queste isole sfruttando al massimo ogni giornata di bel tempo. Ho imparato a conoscere i passaggi tra le isole per navigare sempre a ridosso, al riparo dalle onde. Per ogni vento che sopraggiunge occorre conoscere una via sicura per tornare in porto.
Tempeste frequenti
Quando il mare diventa bianco e il vento ha raffiche che ti fanno perdere l’equilibrio, nell’Arcipelago si può navigare ancora. Canali, stretti, passi, una rotta per tornare a casa, andando tra isola e isola, la trovi sempre. Credo sia questa la magia di questo Arcipelago. Un mare duro, impetuoso, aggressivo travolge tutto l’anno le piccole terre sparse. Il mare le ha plasmate, erose, divise, colorate; e quando ti accolgono e ti riparano riescono a farsi perdonare di essere state generate da un padre così feroce.
L’Ammiraglio Nelson a La Maddalena
In un vicolo dietro la chiesa di La Maddalena entro nel piccolo Museo Diocesano, voglio vedere il crocefisso e i due candelabri che l’Ammiraglio Nelson regalò alla comunità dell’Arcipelago, in segno di gratitudine per aver ospitato la sua flotta in quelle acque. Sì, proprio lui, il trionfatore di Trafalgar, la battaglia navale che cambiò la storia del mondo. La Maddalena gli fu infatti preziosa come base della flotta inglese del Mediterraneo, con la quale per quasi due anni tenne sotto scacco quella francese, asserragliata nel porto di Tolone. L’11 gennaio del 1805 Nelson salpò con tutte le sue navi per inseguire quelle francesi finalmente uscite da Tolone.
L’Inseguimento della flotta francese
Napoleone stava radunando le sue forze navali per lo sbarco e l’invasione dell’Inghilterra. Nelson sventò il piano e lo sconfisse il 21 ottobre del 1805. Come tutti sanno a dar il nome a quell’epica battaglia navale, fu un Capo sull’Oceano Atlantico, tra Gibilterra e Cadice; al largo del quale le due flotte si affrontarono. Qui Nelson morì, ucciso da un fuciliere francese. Solo qualche mese prima Nelson aveva sollecitato il suo governo perché acquistasse la Sardegna dal Regno di Piemonte e potesse così utilizzare La Maddalena come base strategica della Marina Britannica. La Corona inglese aveva però da poco acquisito l’isola di Malta, concessagli dal Regno delle Due Sicilie. Nelson ritenendo La Maddalena più strategica di Malta, valutò comunque in 500.000 sterline il valore di tutta la Sardegna e trattò con il Regno Italiano dei Savoia l’acquisizione di tutta l’isola.
Il piccolo regno dei Savoia
I Savoia risposero negativamente alla poco diplomatica offerta di Nelson, anche se al piccolo Regno italiano faceva comodo la flotta inglese a La Maddalena, un ottimo deterrente alle possibili minacce francesi dalla vicinissima Corsica. Non dimentichiamo che solo pochi anni prima, nel 1793, Napoleone, ancora giovane ufficiale, aveva attaccato La Maddalena e grazie all’eroica resistenza dei maddalenini l’Arcipelago era rimasto italiano-piemontese.
Sommergibili nucleari
Passano i secoli, cambiano gli scenari storici. In piena “guerra fredda” l’Arcipelago ritornò ad avere un ruolo importante nello scacchiere internazionale per la sua posizione strategica e per le sue ampie insenature. Nel 1972 l’allora presidente del Consiglio italiano, Giulio Andreotti, prese accordi con gli Stati Uniti in gran segreto e l’Isola di Santo Stefano fu concessa agli alleati atlantici come base per sommergibili armati di missili con testate nucleari.
Guerra fredda a La Maddalena
Le due grandi potenze, Stati Uniti D’America e Unione Sovietica, si sono sfidate per quasi 40 anni in una guerra invisibile. I sommergibili a propulsione nucleare sono stati i mezzi militari che questo conflitto l’hanno più animato e mitizzato. Una sfida sottomarina sia tecnologica che strategica, basata su un mezzo che aveva stravolto gli scenari bellici di una guerra mai dichiarata tra le due potenze. Oggi tolta la segretezza degli eventi, sappiamo che i mezzi sottomarini delle due parti si sono affrontati più volte sfiorando battaglie vere e proprie. Nel 2003 un sommergibile USA ebbe un incidente nelle acque dell’Arcipelago.
L’incidente subacqueo
A meno di un miglio dall’Isola delle Bisce, un’isoletta disabitata tra Porto Cervo e l’Isola di Caprera, uno di quei mezzi a propulsione nucleare toccò il fondo. L’incidente poteva causare gravissimi conseguenze all’ambiente se ci fosse stata una fuoriuscita di radioattività, ma per fortuna la struttura del sommergibile resse all’urto. Comunque l’alto rischio di catastrofi con mezzi a propulsione nucleare era elevatissimo e continuò a sollevare conflitti tra chi a La Maddalena viveva e lavorava grazie all’indotto economico della base USA e chi avrebbe voluto un Arcipelago libero dalle servitù militari. Il Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena avrebbe avuto un assai dubbio futuro se si fossero verificati altri incidenti con conseguenze più gravi.
L’ex Arsenale
A fine febbraio del 2008 la Marina USA ha lasciato Santo Stefano. Tutta la rada creata dalle tre isole, Caprera, La Maddalena e Santo Stefano, ora non è più ingombra per le strutture galleggianti che circondavano il molo di attracco dei sommergibili. La base di Santo Stefano è ora passata alla Marina Militare Italiana, che ha lasciato l’Arsenale di La Maddalena per usi turistici.
Mastro d’ascia a La Maddalena
La lunga storia di La Maddalena come base militare strategica non è quindi del tutto conclusa. L’Arsenale ha lasciato nel tessuto sociale di La Maddalena conoscenze e pratiche marinare molto radicate. A Moneta in un piccolo cantiere ho conosciuto Vincenzo Carrano, uno degli ultimi maestri d’ascia di La Maddalena. Suo padre faceva questo mestiere e lavorava all’Arsenale. Vincenzo sta costruendo un gozzo, ha quasi terminato il fasciame. Al tatto, il legno levigato non ancora verniciato sembra pelle di un essere vivente. L’ossatura è di rovere italiano, il fasciame è di mogano, il ponte e la falchetta di teak, la chiglia è una trave di duro legno africano, l’azobè, che ha una tale compattezza che in acqua non galleggia.
Vele latine
Questo gozzo meraviglioso Vincenzo lo sta costruendo per un appassionato di barche a vela latina. Una bellissima tradizione, che qui a La Maddalena è impiegata nei charters giornalieri, uno dei modi migliori per i turisti di visitare le isole. Vincenzo mi consiglia di cercare in porto il “Leonidas” di Ivan, l’ultima barca da lui costruita, disponibile per escursioni tra La Maddalena e le Bocche di Bonifacio. La storia del “Leonidas” è quella di un ragazzo di La Maddalena, riuscito a realizzare un sogno: ricostruire un “leudo” ligure, grande barca a vela latina di quasi 15 metri. Incontro Ivan al bar del porto e mi racconta che sta finendo di armarlo. Molti protagonisti hanno partecipato a questa impresa, ma senza l’entusiasmo, la competenza e la determinazione di Ivan questo meraviglioso legno non esisterebbe. Lui è l’armatore e lui lo userà per lavorare.
Cala Corsara
Concludo a Spargi questo racconto, in una delle più belle baie dell’Arcipelago. Sono sopra un’altura dalla quale si domina tutto il piccolo golfo di Cala Corsara. Sotto di me c’è Ivan con il suo “Leonidas”. La cala è totalmente deserta, la sagoma elegante ed antica del leudo che l’attraversa imprime a tutto l’ambiente un effetto da macchina del tempo. La giovane età di Ivan e la sua intraprendenza sono segnali positivi, che spesso cerco in giro per i nostri mari. Il “Leonidas” è quasi un miraggio, in una ricerca di bellezza nel paesaggio costiero italiano. Nella meraviglia di una linea di costa mediterranea, la sagoma di una vela lontana aiuta molto a rappresentare un paesaggio marino da sempre umanizzato. Una barca a vela moderna ha le sue armoniose velature, ma il profilo di una vela latina possiede una grazia ed un’eleganza che rasenta la perfezione.
Barche senza età
Un mezzo di trasporto così bello proviene da molto lontano, anche se appena costruito. Il “Leonidas” non ha età, erede di un leudo attivo per quasi un secolo. Il mare e la necessità degli uomini di dominarlo nell’arco di oltre due millenni hanno prodotto barche di grande successo con soluzioni tecnologiche astute e longeve; come il leudo, appunto, “piccola nave” da trasporto ancora usata fino agli anni ‘50. Da tradizioni simili non bisognerebbe allontanarsi troppo, perderemmo una fetta importante del nostro sapere antico, non solo tecnologico, ma anche creativo, manifestazione di un armonioso “design”. Le barche mediterranee, un gozzo, un leudo, sono archetipi, icone estremamente espressive, senza le quali non saremmo nemmeno in grado di immaginare le nostre origini mediterranee. E a La Maddalena questa riscoperta ha il sapore della sfida.
[LUCA TAMAGNINI]
Foto La Maddalena
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